La Carta di Milano sul diritto al cibo (quella di Expo, che verrà presentata il 16 ottobre al segretario generale dell’Onu Ban ki-moon), così com’è non va per nulla bene. Mancano le azioni concrete per tradurre in pratica le dichiarazioni di principio.
Stefano Zamagni, l’economista cattolico, filosofo, teorico dell’economia di comunità, sarà ospite il 17 ottobre a Pensare il cibo per spiegare che alimentarsi è un diritto che questo sistema liberista non può garantire per tutti. E in occasione di Pensare il cibo presenterà una proposta di integrazione alla Carta di Milano.
«Intanto, dobbiamo smetterla di parlare di cibo come diritto – spiega il professor Zamagni – Il cibo è un “bisogno”, un bisogno fondamentale dell’uomo. Se lo consideriamo solo un “diritto” corre il rischio di essere soppresso, magari in nome della mancanza di risorse. Mentre un bisogno per sua natura non si può sopprimere. Poi, iniziamo e dire che la pura economia di mercato non soddisfa bisogni ma sviluppa, semmai, “preferenze”. Nei Paesi occidentali abbiamo dovuto introdurre il welfare come correttivo dell’economia di mercato per garantire la soddisfazione dei bisogni fondamentali anche per chi non ha reddito, poi le preferenze hanno alimentato il consumismo. Nei paesi in via di sviluppo, dove non esiste il sistema di welfare, l’economia di mercato, senza welfare, ha portato solo la fame: là il cibo è accessibile solo per chi può permetterselo e il cibo di qualità è un lusso assoluto. Le classi ricchissime di questa parte del mondo consumano che cosa preferiscono, mentre la maggior parte muore di fame. Eppure, prima dell’economia di mercato non era così. Nell’economia di comunità spazzata via dalla globalizzazione e dalle logiche del mercato, forse non c’erano i paperoni in elicottero privato ma nessuno moriva di fame».
Alla globalizzazione e al liberismo servono, dunque, correttivi. Ma si può imporre qualcosa ai mercati? Tutte le teorie filosofiche che hanno cercato di introdurre un senso di responsabilità sociale nell’agire economico degli uomini non hanno mai sconfitto la logica del mercato…
«Intanto è il mercato che impone se stesso, che diffonde la sua dittatura. Il mercato arriva spinto da uomini che ne possono beneficiare per la lor esclusiva possibilità di consumare: in Africa, per esempio, è arrivato come una conquista di civiltà ma sta distruggendo le economie locali di comunità. La questione è allora adottare nuovi sistemi economici».
Per Zamagni la strada per garantire accesso al cibo per tutti, anche in quei paesi dove vivono i 900 milioni di individui denutriti e malnutriti è l’economia di civile.
«L’unico modo di garantire il soddisfacimento del diritto al cibo, intendo anche cibo di qualità, è costruire un’economia che guardi alla comunità e che all’accumulo sostituisca il benessere. Il punto di vista filosofico di partenza deve restituire all’uomo il senso del bene-essere dentro la sua comunità. Nella mercificazione non ci sono relazioni interpersonali e non si costituisce un’identità. Nell’economia che guarda a al senso di comunità è possibile anche scoprire la gratificazione del dono, quel senso di gratificazione che ti arriva quando senti il riconoscimento degli altri per quello che stai facendo. Il passaggio deve essere dall’economia di mercato a una vera economia politica, un’economia civile».
Quindi: dall’economia pura all’economia condita dalla forza della filosofia, anche per affrontare il problema della equa distribuzione del cibo. «Il nodo centrale è nutrire tutto il pianeta e non solo una parte e permettere a tutti gli uomini di vivere nel benessere. Il benessere è costituito dall’utilità, cioè dai vantaggi che traiamo dal possesso di beni e dall’utilizzo di servizi, ma anche dalla felicità, sì proprio la felicità, che è l’essenza della fioritura umana, l’eudaimonia dei filosofi greci. Così, l’utilità deve essere soltanto il mezzo per la piena felicità».
Quindi il cibo-bisogno non può che essere un mezzo per la felicità… «Il cibo non può essere un derivato economico, una commodity. E soprattutto la semente non deve essere considerato un bene privato, semmai è il frutto che può essere considerato una proprietà. Ed è questo uno dei principi che non sono stati inseriti nella Carta di Milano».
Ma per Zamagni è tutta la Carta di Milano che così com’è non basta… «La Carta di Milano ha bisogno di un addendum. Alle enunciazioni vanno aggiunti punti chiari indicando le azioni concrete che vanno messe in campo per dare attuazione alle dichiarazioni di principio. Altrimenti, se rimane così è solo aria fritta. E, proprio in questi giorni, con alcune personalità del mondo dell’economia e della cultura presenteremo una nostra proposta di addendum alla Carta, addendum che illustrerò a Torino per Pensare il cibo».