Non esiste LA dieta mediterranea, ma tante diete mediterranee. Non è mai esistita una sola tradizione alimentare scolpita nelle consuetudini, ma la scelta degli alimenti e il modo di prepararli è stata sempre modificata dai contatti con nuove piante, nuovi animali, nuove popolazioni, nuove religioni.
La seconda serata di Pensare il Cibo, con la storica Irma Naso e il nutrizionista Federico Francesco Ferrero moderati dalla giornalista Rosalba Graglia ha mostrato le contraddizioni delle culture del cibo a partire dalle tradizioni italiane.
Il nostro “DNA alimentare” è, proprio come il Dna nucleico e mitocondriale, il frutto di mescolanze di geni culturali diversi, spesso impensabili.
«La nostra cultura gastronomica – ha spiegato la storica – deriva dalla contaminazione tra il modo di mangiare latino, basato su olio d’oliva, cereali e vegetali con poco pesce e poca carne, con il mondo alimentare germanico basato sulla carne e i grassi animali. Si può dire che dall’incontro tra romani e barbari siamo diventati onnivori. E dopo questa svolta i cambiamenti sono stati tantissimi. Nel medioevo si mangiava in modo molto diverso da oggi e molti cibi che pensiamo siano della nostra tradizione sono starti introdotti in epoca recente».
E così, sotto accusa finisce la Dieta Mediterranea, codificata dal celebre studio di Ancel e Margaret Keys, ma anche il vitello tonnato e la carne cruda piemontese.
«Non è vero che a Napoli mangiassero tutti la pizza o la pasta – ha incalzato Ferrero – Questi erano cibi che, nell’800, si consumavano una volta ogni tanto. Così come sfido a trovare nei piatti tipici delle famiglie delle Langhe dello stesso XIX secolo il vitello tonnato, la carne cruda o gli agnolotti. In entrambi i casi, è passato come cibo della tradizione qualcosa che era cucinato solo eccezionalmente, nelle occasioni particolari, oppure che è arrivato attraverso le tavole dei ricchi. La vera dieta della tradizione è, in fin dei conti, il semplice consumo di verdura e pane con poco vino. Questo si mangiava tutti i giorni nella stragrande maggioranza delle famiglie italiane».
«I nostri cibi – ha proseguito la professoressa Naso – arrivano da mezzo mondo e tante popolazioni diverse hanno insegnato a conoscerli ma, nello stesso tempo, si sono scissi in tantissime varietà culinarie locali dovute all’isolamento delle popolazioni che, elaborata una propria consuetudine, non riuscivano a trasmetterla oltre un raggio di pochi chilometri. Ma, prima o poi, anche queste sono cambiate. Non è vero che le tradizioni alimentari sono codificabili per sempre, al contrario, sono in continua evoluzione».
La modernità è, poi, l’epoca della nascita incessante di nuove culture del cibo. «In realtà sono mode – ha sottolineato Ferrero – Si osserva un “sacerdote” intraprendere una strada alimentare e lo si segue. È così per il sushi come per il veganesimo. In pochi sono davvero consapevoli di quello che mangiano anche dopo avere scelto una specifica dieta. La vera cultura del cibo sta nel recuperare la vera tradizione alimentare che è quella del consumo del cibo in compagni e condivisione, in famiglia o con gli amici. La vera cultura del cibo da recuperare è anche la riscoperta della pausa pranzo. Il pranzo è il pasto più importante della giornata ma spesso lo saltiamo o lo mortifichiamo dedicandogli pochi minuti continuando a lavorare. Torniamo a mangiare bene e con calma a metà giornata e avremo recuperato una tradizione autentica e fondamentale per la nostra salute».