Il cibo come paradigma della giustizia sociale è stato il tema del primo incontro della seconda edizione di Pensare il cibo al Circolo dei lettori di Torino. A confronto, il filosofo laico Giacomo Marramao e il teologo don Bruno Bignami.
Sul piatto, il tema del cibo come «diritto dimenticato» si è detto, un diritto alla semplice nutrizione, negato a 800 milioni di uomini, e un diritto a un’alimentazione sicura per la salute, negato sempre più in Occidente a miliardi di obesi e malati di colesterolo.
«Non basta più affermare il diritto al cibo se poi non si agisce su un sistema economico che non garantisce nutrizione a un terzo della popolazione del Pianeta e che inculca cibo di scarsa qualità agli altri due terzi. Se non tocchiamo la logica del mercato invece di lottare contro la fame finisce che lottiamo contro gli affamati. Gli Ogm sono un esempio. Dove si sono diffusi dovevano garantire più cibo a costi più accessibili, invece in quei paesi poveri dove si produce usando gli Ogm non solo non si è risolto il problema della fame ma abbiamo solo più monocoltura, magari per produrre carburanti e i terreni, che sono soggetti al land grabbing, vengono sottratti ai contadini. Così, con lo slogan di combattere la fame, abbiamo creato nuovi affamati», ha ricordato Bignami.
«Se viene meno il protagonismo della persona e dei popoli – ha ribadito lo stesso Bignami – viene meno il valore importante della relazione con cui il cibo ci mette in connessione con la nostra identità e la nostra comunità. In fin dei conti, a partire da quando nostra madre smette di allattarci, inizia un viaggio. L’uso della nostra bocca è un viaggio verso la costruzione della relazione con noi stessi e la relazione con gli altri. Spezzare questa relazione per trasformare il cibo una semplice merce è proprio quel meccanismo che crea la malnutrizione, perché allontana gli uomini dal protagonismo nell’accesso al cibo, cibo della loro cultura e cibo delle loro tradizioni agrarie. Ecco che l’accesso al cibo diventa quindi una questione multidisciplinare dove vengono investiti l’educazione, l’economia, la politica, l’etica».
Giacomo Marramao ha, invece, proposto una visione meno etica e più politica che parte dal materialismo del corpo. «Noi non abbiamo un corpo, noi siamo corpo. Occorre recuperare la nostra radice animale, proprio quella corporeità animale che alle origini ci metteva in relazione con il sacro, quando i popoli cacciatori cercavano di propiziare la natura per farsi perdonare di averle sottratto qualcosa per il loro nutrimento. Perché la nostra relazione con il cibo, da sempre, ha a che fare con un senso di colpa per la nostra dipendenza dalle risorse che ci arrivano al di fuori di noi stessi: dal nutrimento della madre al nutrimento preso dalla natura. Da qui derivano anche i precetti religiosi di tipo alimentare con i divieti per certi cibi e l’esaltazione di altri, per esempio il pane e il vino, che nella cultura antica e in quella cristiana mettono in relazione con il divino».
Così, per Marramao, la questione alimentare è una profonda questione politica che ha sullo sfondo lo scontro tra le diverse globalizzazioni, in primis tra quella occidentale del predominio del mercato e quelle cinese, indiana e brasiliana dove il mercato convive con modelli sociali e politici che lo influenzano. Per Marramao si tratta di scontri tra civiltà e scontri tra “capitalismi”. Per Bignami si tratta di superare tutti questi modelli per riconsegnare all’uomo il libero arbitrio che attraverso il libero accesso al cibo diventa fattore di affermazione come individuo.