di Elisabetta Lachelli
Se l’uomo continua a trattare male il cibo, prima o poi questo si vendicherà. Anzi, ha già iniziato a farlo. Questa è una delle semplici riflessioni che propone Francesca Rigotti, filosofa e docente presso l’Università della Svizzera italiana, che sta per pubblicare il saggio: “Manifesto del cibo liscio. Per una nuova filosofia in cucina” (Interlinea).
Rigotti sostiene che tra filosofia e alimentazione è intercorso nei secoli un rapporto ambivalente di amore e odio, sdoganato solo a fine Ottocento dal materialismo di Feuerbach e dalla sua massima “l’uomo è ciò che mangia”. Per la filosofa è tuttavia importante che le scienze del pensiero si occupino di cibo.
«La filosofia, in fondo, si è sempre occupata di questo tema, a cominciare da Platone che nel dialogo Gorgia ne ha dato una precisa trattazione. In particolare, gli interessava, solo per condannarlo, il piacere che deriva dal cibo raffinato e dai manicaretti, non degni dei filosofi. E infatti in quel dialogo Platone condanna in un colpo solo sia la retorica (l’arte di condire con le parole) e sia la culinaria (l’arte di ingannare coi manicaretti). Sarà proprio lui a dare inizio a una lunga storia di esecrazione del piacere, del cibo e non solo di quello, cui la Chiesa si assocerà entusiasticamente».
Rigotti spiega l’idea che dà avvio al suo lavoro.
«Propongo un modello alimentare di “cibo liscio” che prende spunto dalla distinzione tra due tipi di territorialità, tracciata da Deleuze e Guattari in “Mille piani”, un’opera del 1980. Da una parte, lo spazio striato: cartesiano, gerarchico, egemonico, rigido, lo spazio del potere. Dall’altra lo spazio liscio: fluido, nomade, mutevole, lo spazio del non potere. Lungo queste coordinate viene proposta, nel libro dei due francesi, una serie di modelli: tecnologico, musicale, marittimo, matematico, fisico, estetico. La mia ambizione è stata quella di costruire un ulteriore modello di combinazione tra liscio e striato: il modello alimentare. Senza volersi illudere del fatto che il liscio sia di per sé liberatorio e salvifico cerco di dimostrare, con argomenti filosofici, come sia nel liscio che nasce la possibilità di alimentarsi di cibo sano che nutre senza provocare disagi e malattie. Oltre a ciò mi concentro sul rapporto tra cibo e memoria in quattro brevi racconti autobiografici, analizzo il principio di moderazione e di obesità e molte altre cose».
Francesca Rigotti si è già accostata a questa tematica in passato e ha già dato alle stampe i due volumi “La filosofia in cucina. Piccola critica della ragion culinaria” (il Mulino) e “Gola. La passione dell’ingordigia”(il Mulino), che hanno goduto di molta risonanza all’estero e sono stati tradotti in diverse lingue.
Rigotti si è resa conto che con l’approccio filosofico all’alimentazione è aumentata anche la consapevolezza della peculiarità del cibo: esso è un elemento che entra fisicamente “dentro” l’uomo. Racconta di aver un rapporto positivo con l’alimentazione.
«Mangio di gusto, a orario, prevalentemente vivande preparate in casa da me, anche perché avendo avuto una famiglia numerosa mi sono giocata il tempo tra ricerca, insegnamento, scrittura e allevamento della prole, ivi compresa alimentazione. Cucino e mangio preferibilmente cereali, vegetali e latticini ma non disdegno pesce e nemmeno carne».
Il libro sarà presentato al Salone internazionale del Libro di Torino, sabato 16 maggio alle ore 17.